Gran finale mozartiano La trilogia Mozart-Da Ponte al Regio di Torino
Le nozze di Figaro
«Ancora oggi non so che cosa dicessero quelle due donne che cantavano, e a dire la verità non lo voglio sapere. Ci sono cose che non devono essere spiegate. Mi piace pensare che l'argomento fosse una cosa così bella, da non poter essere espressa con delle semplici parole. Quelle voci si libravano nell'aria a un'altezza che nessuno di noi aveva mai osato sognare. Era come se un uccello meraviglioso fosse volato via dalla grande gabbia in cui eravamo, facendola dissolvere nell'aria. E per un brevissimo istante, tutti gli uomini di Shawshank si sentirono liberi». Quello che i detenuti si sorpresero ad ascoltare, nel film Le ali della libertà, del 1994, era il duettino Sull'aria del terzo atto delle Nozze di Figaro KV 492 di Wolfgang Amadeus Mozart, dove la Contessa fa scrivere a Susanna un biglietto adescatore per il Conte, dandogli appuntamento in giardino, al quale andrà mascherata proprio da Susanna. Siamo nella seconda parte dell'opera, dove un primo intreccio è stato sciolto e un secondo se ne sta annodando, in quella messa in musica de Le Folle Journée, ou Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, del 1778, che Mozart operò assieme a Lorenzo Da Ponte, dopo il placet di una censura tesa a mitigare il tono velenoso della polemica contro la classe nobiliare che animava la commedia del francese. Buon successo di pubblico a Vienna, dove debuttò il primo maggio 1786 al Burgtheater, ma vero trionfo a Praga, tanto da indurre l'imperatore Giuseppe II a commissionare a Mozart una seconda opera per l'anno a venire: sarebbe così nato il Don Giovanni. Successo che ancora oggi arride a quest'opera in cui i personaggi, che si erano conosciuti nel primo episodio della “trilogia di Figaro”, Le barbier de Séville, si trasferiscono tutti al palazzo del Conte d'Almaviva e ricominciano a tessere trame e controtrame uno per ingannare l'altro, in un'infilata di arie, duetti e terzetti che traboccano di genialità (benché, a modesto giudizio dello scrivente, ci sia fin troppa carne al fuoco per un'opera sola) e che raggiungono il vertice dell'opera buffa settecentesca. Che poi, a ben vedere, proprio buffa buffa non è, almeno non nell'accezione più italiana di opera ridanciana nata come sfogo all'ingessata opera seria, perché, nell'ampio ventaglio di tipi umani presentati – lo scaltro Figaro, la sveglia e maliziosa Susanna, il ragazzino tutto ormoni Cherubino, il Conte, con le sue manie di potere, la Contessa, nella sua soffusa malinconia di donna che si riconosce non più piacente per il suo uomo, Barbarina, la ragazzina dall'innocenza appena perduta, ecc. – c'è posto anche per sipari di riflessioni e di pause liriche, che si riassumono soprattutto negli interventi del Conte e della Contessa. Come nota Massimo Mila, essi sono gli unici personaggi a cantare quasi sempre in tono da opera seria, pur immersi nel tono buffo della cornice in cui si muovono.
A conclusione della stagione 2017/18, il Teatro Regio ha programmato l'intera trilogia Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro , Don Giovanni e Così fan tutte: iniziativa pregevole, una gemma di unitarietà e di filologia nel panorama di altre stagioni che smembrano a piacimento il Trittico pucciniano o la Tetralogia wagneriana (quest'ultima comprensibilmente più difficile da mettere in scena in quattro giornate secondo il diktat), e, diciamolo pure, una delizia per le orecchie.
La prima rappresentazione, in data 26/06/2018, non ha però convinto del tutto. A cominciare dalla direzione, affidata a Speranza Scappucci, già ascoltata presso lo stesso teatro in occasione della Cenerentola di Rossini, e sulla quale già all'epoca ci si era espressi con riserva. Ritroviamo qui la stessa condotta in alcuni punti scolastica, come nell'Ouverture, in altri un po' troppo libera, come nel caso dei numerosi ensemble, nei quali pare che l'unità dei numeri in questione le sfugga di mano e cantanti e orchestra viaggino su binari paralleli. Buon controllo, invece, per quanto riguarda il volume orchestrale, che non prevarica quasi mai sulle voci. Le dimensioni dell'orchestra, che conta trentasei archi, cerca di avvicinarsi numericamente agli standard dell'epoca (benché in un documento, citato da Massimo Mila in Lettura delle Nozze di Figaro di Mozart, si espliciti che a Praga il numero totale degli archi non andasse oltre i venti), tenendo conto della diversa acustica e soprattutto delle diverse dimensioni del Teatro Regio.
Cast disomogeneo quello dei cantanti. Il Figaro di Paolo Bordogna esibisce spesso e volentieri sforzati scoppi di voce senza motivo, esagerando il tratto di rabbia repressa per i soprusi del Conte; lo spirito mozartiano del Se vuol ballare, dove si dice tutto tra le righe, è travisato, non si capisce bene se per volere del regista, Elena Barbalich, o per tocco personale di Bordogna. Il quale, vocalmente, regge bene la parte, pur con qualche scivolone interpretativo: nella celebre Non più andrai, a chiusura dell'atto primo, e in Aprite un po' quegli occhi, nell'atto quarto (brano che sostituisce la tirata polemica presente in Beaumarchais), c'è poco scavo e una definizione sfocata delle arcate melodiche. Meglio la Susanna di Maria Grazia Schiavo, specialista del repertorio sette-ottocentesco italiano o di simil stampo, adattissima per questo ruolo, voce aggraziata e ben portata verso il pubblico, sommata a una deliziosa verve scenica. Simone Alberghini, nei panni del Conte d'Almaviva, dispone invece di voce tremula, che fatica nel registro poco più che medio e, cercando di raggiungere le note giuste, perde in precisione nell'emissione e nelle legature, dando un'impressione di stanchezza vocale. Cherubino è il mezzosoprano Paola Gardina, voce convincente, scura e piena, ma tenuta troppo a freno, praticamente sommersa dall'orchestra nell'aria Non so più cosa son; la situazione migliora in Voi che sapete, dove viene raggiunto l'equilibrio con l'orchestra. Punto dolente la Contessa d'Almaviva di Serena Farnocchia: l'esordio, con Porgi, amor, qualche ristoro, a inizio secondo atto, delude per una voce ingolata e debole, con acuti striduli; si rifà in Dove sono i bei momenti, dove la voce, più calda e a regime, si dimostra di buona fattura e con tecnica in grado di sopperire alle manchevolezze passeggere della voce. Al contrario, paradossalmente, la voce dei comprimari risulta più convincente di quella dei ruoli principali. Fabrizio Beggi dà vita a un Don Bartolo autorevole e greve, pur nei confini macchiettistici del suo personaggio, grazie a una voce di baritono piena e definita, che si sarebbe ascoltata più volentieri in un ruolo più esteso come quello del Conte. Idem dicasi per l'Antonio di Giuseppe Esposito. Il Don Basilio di Saverio Fiore, tenore leggero, è petulante e querulo quanto basta per il ruolo, cosa che, trasportata nell'acuto, può riferirsi anche alla Marcellina di Manuela Custer. Il tradizionale balbettio, non previsto in partitura ma inventato dal primo interprete storico, il tenore irlandese Kelly, per esagerare la caricatura grottesca di una giurisdizione asservita meschinamente al potere, accompagna il Don Curzio di Joshua Sanders. Completa il cast il Coro del Teatro Regio di Torino, preparato da Andrea Secchi.
Le scene e i costumi di Tommaso Lagattolla ambientano queste Nozze in un Settecento idealizzato ma piuttosto attinente al libretto, con la ricostruzione degli interni del palazzo del Conte. Tradizionale ma non per questo non efficace, l'intero impianto scenico ha un gradevole impatto sulla vista, in ispecie nell'affascinante scena notturna che chiude l'opera, ambientata non in giardino ma forse in un cortile, al chiaro di candelabri che celano e svelano quanto serve. Poco chiaro invece il ruolo dei bambini che la Contessa a più riprese abbraccia, facendola sembrare madre, cosa di cui nell'opera non v'è traccia. A che pro? Sarebbe una complicazione ulteriore in una trama che già ne comprende due: le nozze vere e proprie di Figaro e la riconquista (non si sa quanto duratura) dell'amor coniugale tra i coniugi Almaviva.
Christian Speranza
8/7/2018
Le foto del servizio sono di Ramella&Giannese-Edoardo Piva.
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